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DI GEOFILOSOFIA


P. Klee, Ancient Sound

Caterina Resta

10 tesi di Geofilosofia

8. La Geofilosofia è una geo-sofia e una geografia dell'immaginale

Se Hegel ha fatto camminare il pensiero sulla testa e Marx lo ha rigirato sui suoi piedi, filosofi come Nietzsche, Heidegger, Jünger e Schmitt hanno, seppure in forme diverse, invocato una "fedeltà alla Terra" che scardina l'imprigionante alternativa idealismo/materialismo, esauritasi ormai sul comune terreno dei diversi storicismi e dei rovesciamenti dialettici. Il ritorno, la fedeltà alla Terra di cui qui si tratta, comporta una decisiva ripresa del carattere intrinsecamente simbolico della realtà. Nel simbolo, infatti, l'elemento spirituale e quello sensibile appaiono perfettamente fusi in una medesima immagine. La Terra sulla quale abitiamo, prima d'essere leggibile entro i paradigmi delle scienze esatte, di cui ogni biologismo etnico giunge a rappresentare il risvolto mitico nel concetto di 'razza', è l'incorruttibile simbolo del grembo dal quale proveniamo e nel quale siamo destinati a tornare, alternarsi incessante di creazione e distruzione. Simbolo, anche, di straordinaria perfezione e bellezza, nella puntuale scansione di giorno e notte, nel succedersi delle stagioni, nella straordinaria varietà di specie viventi, paesaggi, morfologie.
La Geofilosofia è perciò una geo-sofia, interrogazione e contemplazione del misterioso volto della Terra, colto nei suoi elementi spirituali e simbolici. Per questo, anche, la Geofilosofia è un pensiero fedele e amorevole, consapevole com'è che la prima custodia, la prima salvaguardia della Terra avviene nel preservarne e coltivarne i simboli.
«Vedere la cose alla luce di Hûrqualiâ», secondo un'espressione della mistica islamica, significa accedere a una visione immaginale, nella quale Imago Terrae e Imago Animae, finalmente si corrispondono. La terra celeste di Hûrqualiâ non si pone pertanto fuori dalla nostra portata, non è un paradiso ultraterreno, ma si offre, splendente nella sua sovrabbondanza di colori, suoni e profumi, alla visione di colui che sappia contemplarla. Per aver accesso a questa visione il tirocinio è al contempo semplice e infinitamente complesso, implica un cammino breve ed insieme tortuoso. Simile, per molti versi, ad una trasmutazione alchemica, la potenza immaginale non rappresenta, ma trasfigura, non copia ma incessantemente inventa ciò che dà a vedere. E' in questo spazio che l'immagine schiude alla visione del cuore, è in questo "Paese del non dove" che le cose hanno davvero luogo. Qui, nell'Altrove, ad ogni istante, l'opera della creazione non si arresta e infaticabile continua il lavoro dal quale l'Angelo della storia benjaminiano era stato distolto: quello di ricomporre l'infranto. Giacché anche nella desertificazione del mondo, in quell'immane cumulo di rovine e devastazione al quale ogni giorno di più sembra ridursi la nostra Terra, imparare a “vedere le cose alla luce di Hûrqualiâ” non significa certo strapparle alla loro storica distruzione, ma, almeno, ri–cor–darne l’incorruttibile essenza spirituale e simbolica, custodendola, al sicuro, nell’invisibile di un’altra, diversa, visione. Per esse, per noi, forse non è concessa qui altra salvezza che questa debole forza messianica di redenzione. Solo essa, tuttavia, consente almeno la promessa di un a-venire oltre la presente catastrofe.
La Geofilosofia scopre in una geografia immaginale quella concezione del Luogo e della Terra che nessun'altra geografia è in grado di darle. Di questa cartografia costellata di città di cristallo e di stupendi paesaggi essa si serve non come surrogato consolatorio di fronte al rovinare del presente, ma come scoperta di una dimensione realissima e al tempo stesso inattingibile in grado di consentire un diverso orientamento.

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