Caterina Resta
10 tesi di Geofilosofia
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P. Klee,
Ancient Sound |
7. La Geofilosofia impone una diversa
concezione della frontiera, dell'appartenenza e della comunità
La Geofilosofia in quanto pensiero dell'abitare dell'uomo
sulla Terra, nell'epoca del totale sradicamento, intende affermare un
nuovo senso dell'appartenenza e della frontiera. Se appartenenza e frontiera
hanno a lungo significato - e purtroppo ciò accade ancora oggi
- solo chiusura etnica e razziale e conflitti nazionalistici, tuttavia
rinunciare per questo a ogni forma di legame, sia con una
Terra che con una comunità, è
quanto di più rischioso si possa auspicare, soprattutto in rapporto
a quel necessario processo di individuazione e identificazione, senza
il quale si consegna tutto l'esistente ad un destino di anonimato, segnato
da un'uniformità e un'omologazione sempre crescenti.
Ma, allora, è possibile dire altrimenti parole per molti versi
ormai impronunciabili come popolo, patria, confine? Per tentare di aprire
un diverso ascolto di queste parole, forse la lingua tedesca ci aiuta
più delle lingue latine. In queste ultime, infatti, la patria,
nella sua derivazione etimologica da 'padre', testimonia di una discendenza,
anche nel pensiero, da una concezione patriarcale della famiglia, della
società, del potere. Il Vaterland,
la patria, è dunque la Terra del padre, e di questo tratto patrio
e paterno, coniugato al maschile, conosciamo ormai tutti i rischi e le
insufficienze. Ma c'è in tedesco anche un'altra parola per dire
patria: Heimat. Heimat
nomina invece la casa [Heim], ciò
che è indigeno, nativo, del luogo [heimisch];
ciò che è familiare e accogliente, che fa sentire a casa,
l'intimo e il segreto [heimlich]. Pensa dunque
l'appartenenza ad un suolo non in termini etnici o razziali, ma come il
riparo e il rifugio, la salvaguardia e la custodia, i cui chiari riferimenti
all'elemento femminile e materno alludono ad un'altra possibile genealogia.
Per questo, forse, se potessimo dirlo nella nostra lingua, dovremmo piuttosto
chiamarla 'matria'. Il fatto che questa parola suoni per noi ancora inaudita,
ci aiuta a comprendere meglio l'enorme difficoltà - di là
da ogni fraintendimento, tutto ancora da meditare - nel tentare di portarla
al pensiero.
Analogo discorso può essere fatto per il concetto di frontiera.
Essa indica il fronteggiarsi, uno star di fronte, secondo le modalità
di un fronte, di un di-fronte inteso come un di-contro. Pensa dunque il
limite e il confine ogni volta come una chiusura di fronte alla quale
stare in posizione frontale, in un testa a testa già in se stesso
antagonistico e conflittuale. La frontiera, in questo senso, è
quanto precisamente divide e contrappone. Ma è possibile accedere
ad un altro pensiero della frontiera, in virtù del quale il confine
è quel limite che in primo luogo non esclude, ma serve a de finire
- e dunque anche a identificare - uno spazio, a farlo diventare propriamente
un luogo. Inoltre ciò che così de-finisce non solo divide
e separa, ma soprattutto connette, mette in rapporto. Spartiacque che,
come linea invisibile, apre su versanti differenti, i quali tuttavia,
al tempo stesso, non possono stare l'uno senza l'altro, la frontiera diviene
così un confine con-diviso, un confine lungo il quale soltanto
si può diventare ciò che si è, nel rimarcare ogni
volta la propria irriducibile differenza dall'altro, come anche il necessario
legame con lui. Assumere questo pensiero della frontiera comporta dunque
anche concepire una diversa logica dell'identità e della comunità,
non più chiusa in sé e antagonistica, né conflittuale.
Significa passare dalla logica dell'identico a quella della differenza,
in nome della quale aprirsi ad una diversa accoglienza dell'altro. Al
di là di ogni esclusione polemica
dell'altro come di ogni integrazione fagocitante o falsamente tollerante,
ciò comporta un'altra strategia dei confini, un differente modo
di tracciarli e di rispettarli. Essi segnano invisibilmente paesaggi e
popoli che si riconoscono nella comune condivisione della loro differenza,
la quale impedisce radicalmente ogni identità di sé con
sé, che prescinda dal riconoscimento dell'alterità dell'altro-in-sé-fuori-di-sé.
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