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          | Luisa Bonesio Conservare il paesaggio   Lezione nell'ambito della summer school Università 
              di Bolognasulla "Morte del paesaggio", 
              giugno 2002
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 |    Questa moda (in realtà declinazione del consumismo 
        e della ricerca di genealogie surrogatorie) o retorica dell’originale 
        non ha niente a che fare con una reale attenzione al significato della 
        tradizione che si incarnava nel modo d’essere dei territori, e che 
        oggi ci è diventato per lo più inintelligibile. Anzi, questa 
        musealizzazione entrata a far parte dei comportamenti di massa e che trova 
        ampie ricadute a livello di iniziative e sostituzioni rischia di essere 
        la più subdola antitesi di un’idea di "conservazione" 
        dell’identità culturale di un luogo:
 "Si continua, ovviamente, a distruggere il paesaggio e a compromettere 
        l’ambiente, si insiste nel saccheggio di ogni fonte di ricchezza. 
        Però, al contempo, la retorica dell’identità sociale 
        ha sposato la memoria disciplinare, che porta a trasformare ogni fotocopia 
        del sé espressivo nell’originale del chissaché significativo".
 
 L’affermazione della necessità di riconoscere ed elaborare 
        uno "statuto dei luoghi", da parte degli urbanisti, significa 
        il riconoscimento della necessità di mantenere "l’identità 
        culturale del territorio", a partire dall’individuazione di 
        matrici formali che si rivelano nella configurazione temporale:
 
 " "Struttura storica" significa individuare 
        quel processo - evolutivo o involutivo - che ha conformato l’attuale 
        assetto del territorio urbano. C’è, indubbiamente, la città 
        storica con tutti i suoi prolungamenti extra 
        moenia. Ma c’è anche il territorio. 
        La campagna intesa quale manufatto o artefatto 
        che presenta le stesse caratteristiche (o problematiche) riscontrabili 
        nel centro storico".
 
 Leggere il tessuto storico, la conformazione territoriale sottostante 
        all’aspetto estetico, è il passo preliminare a qualsiasi 
        operazione di pianificazione o intervento:
 
 "Le strutture storiche sono il riferimento per 
        guidare i progetti di assetto urbano e territoriale, per ripristinare 
        l’antico rapporto della città con il suo territorio. Si pensi 
        alla possibilità di valorizzare, con il ripristino 
        delle alberature, il formarsi di percorsi che 
        consentano di riscoprire la magnificenza del paesaggio. Lo storico sistema 
        dei canali, dei boschi e dei prati - ma anche dei campi - quali strumenti 
        organizzativi del territorio, può configurarsi quale monumento 
        del paesaggio per riqualificare gli stessi 
        progetti di eventuali e sempre più inadeguati completamenti edilizi".
 
 Se è forse corretto dubitare dell’ideologia che proietta 
        in un intatto passato l’ideale della perfezione, nondimeno, come 
        scriveva un filosofo certo non sospettabile di passatismo,
 
 "fintanto che il progresso deformato dall’utilitarismo 
        violenta la superficie della terra, non si lascia completamente tacitare, 
        nonostante tutte le dimostrazioni in contrario, la sensazione che ciò 
        che è al di qua della tendenza di sviluppo e anteriore ad essa 
        è, nella sua arretratezza, più umano e migliore".
 
 È quel che Adorno chiama, significativamente, "un momento 
        di diritto correttivo", che, sospendendo l’adesione al culto 
        del "progresso", consente di gettare uno sguardo distaccato 
        e consapevole sulla distruttività dell’epoca. Liquidare semplicemente 
        il retaggio del passato perché la sua conservazione sarebbe reazionaria 
        o patetica di fronte alle adulte ragioni dell’economico, è 
        nichilistico e autolesionistico. Non è possibile l’abitare 
        in un mondo accettabile senza continuità di forme e tradizioni, 
        né, tantomeno, pensare che esso possa possedere significati estetici, 
        che non siano cosmetizzazione commerciale, in assenza di consapevolezza 
        culturale: "senza memoria storica non ci sarebbe alcuna bellezza", 
        e al massimo la natura può essere "parco naturale e alibi".
 
 Per farlo, è necessario arrivare a considerare l’"architettura" 
        propria (appropriata) di un luogo, ossia quella di chi, abitandovi da 
        tempi immemorabili ne ha distillato una sapienza estetica consequenziale 
        e un’avvedutezza nell’uso e nel mantenimento delle risorse, 
        anche simboliche e immateriali. "Ma se […] alla gioia che ci 
        dà ogni vecchio muricciolo, ogni casamento medievale è mescolata 
        una cattiva coscienza, nondimeno quella gioia sopravvive alla scoperta 
        che la rende sospetta": quasi un senso di sollievo per ciò 
        che ancora non è andato distrutto, ossia lo stile di costruzione 
        proprio del luogo, che anche in frammenti diruti, ne reca l’inconfondibile 
        impronta; non tanto in quanto autoctono e "originale", ma in 
        quanto modello che con una relativa stabilità, con il suo ben definito 
        repertorio di varianti regionali, è potuto essere il linguaggio 
        costruttivo e abitativo di tutta una cultura oppure di territori molto 
        vasti accomunati da medesime caratteristiche geografiche e culturali. 
        Il bel paesaggio possiede un "senso 
        di rappresentanza e di comunicazione socioculturale 
        […] Una bellezza non tanto intesa come espressione di valori estetici 
        (paesaggistici o architettonnici), quanto etici (con i quali si misura 
        la qualità e l’identità di un insediamento".
 
 È un compito preliminare ma fondamentale, prioritario e decisivo 
        rispetto a qualsiasi azione che, in mancanza di esso, rimarrebbe cieca 
        o controproducente: occorrono nuovi strumenti interpretativi e nuovi pensieri, 
        molto più che immagini rassicuranti mutuate da un passato nobile, 
        ma inevitabilmente tramontato in quella forma.
 
        
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