Luisa Bonesio
La fine di tutte le strade. L'esotismo imploso di
Annemarie Schwarzenbach |
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"Hesperos", 1, 2001 |
G. Segantini, Le cattive
madri |
A
Sils
E’ un autodistruttivo anelito verso la terra promessa a portare
Annemarie Schwarzenbach lungo le strade del mondo, e in particolare in
quella Persia che, nei primi decenni del secolo, conservava ancora gran
parte del suo fascino esotico e straniante. Ma sarebbe ingenuo attendersi,
nei suoi racconti e visioni, la restituzione di un cliché archeologico,
o l’apertura curiosa verso altri popoli e altri costumi, o la disponibilità
a un’eventuale palingenesi culturale, come, ad esempio, in colei
che sarà una sua compagna di viaggio, la scrittrice e giornalista
Ella Maillart (1).
Tardivo e fragile frutto dell’iperconsapevole cultura dell’Europa,
la Schwarzenbach viaggiò spinta più dall’inquietudine
che dalla curiosità, pur avendo lasciato significativi reportages
ed essendo stata sinceramente da un impegno politico in cui si profuse
con generosità, accanto a Erica e Klaus Mann
(2), alla ricerca di sé e della verità
più che di panorami da collezionare. Eppure, potrebbe essere riduttivo
leggere le due scritture scaturite dal viaggio in Persia compiuto assieme
al marito, il diplomatico Claude Clarac, nel 1935, come semplice sfogo
lirico o come visioni frutto del consumo di oppiacei. Tod
in Persien, rielaborato successivamente come Das
glückliche Tal (1940) (3)
con il cambiamento al maschile dell’io narrante, più che
un semplice resoconto dell’esperienza di un soggiorno nella valle
d’altura del Damavand, vicino a Teheran, o un “diario impersonale”
(4), può essere letto come una drammatica
traversata del problema dello sradicamento e della solitudine in un mondo
dove sono già ben chiari i segni della globalizzazione e della
progressiva sparizione dei caratteri propri anche delle più antiche
culture: se il vicino Oriente risuona per un europeo colto ancora di memorie
classiche e di precisi riferimenti archeologici, esso è nondimeno
già sottoposto alle logiche dell’industria e del profitto,
ferrovie e oleodotti transcontinentali mettono per forza di cose a contatto
modernità e arcaicità, disinvolte donne europee che viaggiano
in automobile e tecnici delle compagnie petrolifere si incontrano con
carovane di pastori sui cammelli. La biografa della Schwarzenbach, Areti
Georgiadou, scrive: “Il Medio Oriente diventerà per lei il
luogo per eccellenza in cui confrontarsi con se stessa e il mondo. Qui,
dove ha inizio la storia della cultura europea, lei celebrerà il
suo distacco dall’Europa. Annemarie Schwarzenbach ben presto non
sarà più solo una viaggiatrice in Persia, non più
solo una visitatrice, ma una donna che nella vastità dei deserti
di questo paese rifletterà e piangerà il destino del suo
continente natio in declino. Le montagne persiane saranno il grande scenario
del suo male di vivere, della sua mancanza di patria e della sua condizione
di sradicata” (5).
Ma nella sua scrittura la Persia diventa un prisma in cui si scompongono
e sovrappongono le sembianze dei luoghi, in una paradossale operazione
di smarrimento e di riconoscimento incrociati: le particolarità
reali di un luogo, descritto spesso con grande forza espressiva ed evocativa,
finiscono con lo svanire sotto la pressione di un’angoscia di spaesamento
che le rarefà fino a farvi riconoscere, in filigrana, le sembianze
del paese amato e lasciato alle spalle: come una lunga e tormentata traversata
dell’estraneo in cui soltanto è possibile l’agnizione
della terra promessa, che come tale, non può che essere all’origine.
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- 3 - Wege
1. E. Maillart, La via crudele. Due donne in
viaggio dall’Europa a Kabul, EDT, Torino 1993, dove si legge
il resoconto del viaggio in Medio Oriente intrapreso con Annemarie Schwarzenbach
nel 1939.
2. Per i reportages americani degli anni 1936-’37, cfr. la esauriente
ed equilibrata ricostruzione di A. Georgiadou, La
vita in pezzi. Una biografia di Annemarie Schwarzenbach, tr. it.
di T. D’Agostini, Tufani, Ferrara 1998.
3. A. Schwarzenbach, Morte in Persia,
tr. it. di C. Guidi, edizioni e/o, Roma 1998 e La
valle felice, tr. it di T. D’Agostini, Tufani, Ferrara 1998.
4. La definizione è della stessa Schwarzenbach, in una lettera
del 1935 a Klaus Mann, citata da Ch. Linsmayer, L’opera
e la vita di Annemarie Schwarzenbach, postfazione a La
valle felice, cit., p. 142.
5. A. Georgiadou, La vita in pezzi,
cit., p. 116.
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