Caterina Resta
Europa mediterranea. Una prospettiva geofilosofica
Atti della XXVIII edizione delle Giornate internazionali di studio promosse
dal Centro Pio Manzù (Rimini, 19-21 ottobre 2002): Il
corno di Heimdall, “Strutture ambientali”, 124, 2002,
pp. 83-95
F. Vallotton, Europa
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Questo Occidente [Abendland]
diverrà – al di sopra dell’“Occidente”
[Occident]
e dell’“Oriente” e attraverso ciò che è
europeo – il luogo della storia futura più originariamente
conforme al destino?
M. Heidegger, Il
detto di Anassimandro.
La storia del mondo va da Oriente
a Occidente: l’Europa è infatti assolutamente la fine
della storia del mondo, così come l’Asia ne è
il principio.
G.F. Hegel, Lezioni
sulla filosofia della storia.
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1. Uno sguardo
geofilosofico sull’Europa
Da quando, nel VII e VI secolo a.C. nell’antica
Grecia, in quell’esiguo lembo di terra che si incunea nel Mediterraneo,
alcuni uomini cominciarono ad interrogare il mondo a loro circostante
con un nuovo atteggiamento, quello teoretico, cui diedero il nome di “filosofia”,
prediligendo un sapere disinteressato che avesse la pretesa di pensare
l’universale (1),
da quel decisivo momento nel corso della storia dell’umanità,
cominciò la millenaria vicenda di un modello di razionalità
il cui esito finale, non senza rimarchevoli eccezioni e deviazioni, da
ultimo ha preso forma in quel “pensiero calcolante” che, affermatosi
dapprima all’inizio dell’età moderna, costituisce quel
pensiero unico e onnipervasivo che ormai domina incontrastato sull’intero
globo terrestre.
Il processo di occidentalizzazione del mondo non è altro che l’affermarsi
dilagante, in primo luogo, del razionalismo moderno, degli imperativi
di una ragione tecnico-economica, che ovunque impone i propri imperativi
di razionalizzazione, omologazione e drastica riduzione di ogni differenza
qualitativa a mera differenza quantitativa, suscettibile d’essere
perfettamente misurata e calcolata. Di fronte agli esiti devastanti di
questa violenta riduzione della razionalità a dominio e calcolo
del reale, si impone allora la ricerca di un altro pensiero – cui
i maggiori filosofi del Novecento, da Heidegger a Jünger, da Lévinas
a Derrida non si sono sottratti – in grado di saper opporre al crescente
deserto del nichilismo tecnico-economico nuove prospettive e diversi approcci
per tentare di “pensare altrimenti”. La geofilosofia (2),
lungi dal volersi presentare come una nuova disciplina settoriale, aspira
proprio a questo: ad assumersi il compito, certo non facile, di ricondurre
il pensiero a interrogare il senso complessivo dell’abitare dell’uomo
sulla terra. Se, proprio a causa dell’imporsi planetario della razionalità
europea-occidentale, il mondo appare oggi, nell’era globale, unito
e omologato nel segno di un pensiero unico che cancella differenze e singolarità,
producendo ovunque irreversibili processi di sradicamento e perdita di
identità culturali, la geofilosofia, riflettendo su questi fenomeni,
intende avviare un contromovimento, proteso a salvaguardare le irriducibili
fisionomie spirituali, culturali, paesaggistiche di popoli e luoghi, considerandole
un’inestimabile ricchezza. È l’idea stessa di cultura
che ci impone di coltivare il tratto specifico di un’umanità
che non esiste mai come idea astratta, ma sempre nella pluralità
di aggregazioni umane che, ogni volta in maniera unica, abitano tempi,
spazi, luoghi, dando loro un’impronta assolutamente singolare. Se
la cultura è sempre coltivazione di ciò che appartiene più
propriamente alle nostre tradizioni e alla nostra storia, tuttavia, proprio
per questo, essa può mantenersi in vita solo nella misura in cui
si apre al confronto con le altre culture. Un’identità culturale
non va pensata dunque come chiusa in sé stessa, ma come continuo
scambio, osmosi e dialogo con chi è diverso da noi. Una cultura
che si chiudesse intransitivamente entro la propria rassicurante presunta
identità, sarebbe infatti destinata ben presto all’irrigidimento
che prelude alla morte, giacché solo dall’incessante confronto
con l’altro, con ciò che viene da fuori, essauna può
mantenersi davvero viva e vitale.
Quale dunque potrà essere una riconsiderazione dell’Europa
e della sua identità, alla luce di una visione geofilosofica?
Essere perennemente in crisi con se stessa, da sempre sospesa tra vita
e morte: senz’altro questa è una delle caratteristiche dell’Europa
e di coloro che la abitano. Non è qui il caso di rinnovare discorsi
già fin troppo noti e condivisi, sulla difficoltà dell’Europa
ad assumere un proprio volto, o sulla preziosa e irrinunciabile esperienza
che sul suo suolo si è compiuta della convivenza, non senza contrasti,
di una pluralità di popoli e tradizioni differenti che, alla fine,
hanno saputo trovare forme e modi di dialogo, nella salvaguardia della
propria irrinunciabile specificità. Pur mancando di una
identità, nella pluralità e spesso anche incompatibilità
delle sue molte radici (greca, latina, germanica, ebraica, cristiana,
araba, ecc.), l’Europa, alla fine, sarà capace di presentare
un quadro di armoniosa convivenza tra i popoli, nel rispetto dell’identità
di ciascuno, in nome di un modello di civiltà e umanità
la cui pretesa all’universale ha saputo imporre con la forza o la
persuasione nel resto del mondo? In effetti questa Europa che aspira a
incarnare i valori universali dell’umanismo e del progresso ha un
effetto di suggestione potente, cui è difficile sottrarsi. Questa
idea di Europa “culla della civiltà” e di una tradizione,
quella occidentale, che è stata l’unica in grado di proporsi
e affermarsi come ‘valore universale’, in nome dei diritti
universali dell’umanità, non è tuttavia priva di contraddizioni.
Incerta più che mai sul proprio ruolo e sui propri confini, sempre
in movimento, stretta entro l’angusto disegno di una unificazione
meramente monetaria e dei mercati, l’Europa appare oggi anche dubbiosa
circa il modello politico da scegliere. Quale Europa siamo chiamati a
costruire, quella delle nazioni, dei popoli, delle regioni, delle città?
Delle periferie o dei centri, affacciata sul Mediterraneo o sul Baltico,
rivolta a Est o a Ovest?
1. Cfr. E. Husserl, La
crisi dell’umanità europea e la filosofia, in La
crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale,
tr. it. di E. Filippini, il Saggiatore, Milano 1961.
2. Da alcuni anni questa parola si è imposta, con varie e diverse
declinazioni, per cercare di pensare insieme i molteplici aspetti che
investono il senso del rapporto tra l’uomo e la terra sulla quale
abita, nella convinzione che il pensiero debba sempre radicarsi
in una terra e che, d’altra parte, gli elementi geografici siano
essi stessi carichi di una valenza che oltrepassa il dato meramente naturale,
per rivestire valenze spirituali, simboliche e filosofiche di straordinaria
pregnanza. Nell’impossibilità di dar qui conto della quantità
ormai rilevante di studi di carattere geofilosofico, posso ricordare solo
quelli che sento più affini alla mia prospettiva. Oltre ai miei
lavori, tra cui soprattutto C. Resta, 10 tesi
di Geofilosofia, in AA. VV., Appartenenza
e località: l’uomo e il territorio, a cura di L. Bonesio,
SEB, Milano 1996, pp. 7-24 e i volumi Id., Il
luogo e le vie. Geografie del pensiero in M. Heidegger, Angeli,
Milano 1996; Id., La Terra del mattino. Ethos,
Logos e Physis nel pensiero di Martin Heidegger, Angeli, Milano
1998; Id., Stato mondiale o Nomos della terra.
Carl Schmitt tra universo e pluriverso, Pellicani, Roma 1999; Id.,
Passaggi al bosco. Ernst Jünger nell’era
dei Titani, Mimesis, Milano 2000 (con Luisa Bonesio), vorrei ricordare
quelli di Luisa Bonesio, insieme alla quale è stato possibile formulare
una prospettiva geofilosofica comune: L. Bonesio, La
terra invisibile, Marcos y Marcos, Milano 1993; Id., Geofilosofia
del paesaggio, Mimesis, Milano 1997; Id. Oltre
il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia, Arianna, Casalecchio
(BO) 2002 e i testi collettanei AA. VV., Geofilosofia,
a cura di M. Baldino, L. Bonesio, C. Resta, Lyasis, Sondrio 1996; AA.
VV., Orizzonti della geofilosofia. Terra e
luoghi nell’epoca della mondializzazione, Arianna, Casalecchio
(BO) 2000. Accanto a questi, vorrei menzionare almeno, in ambito italiano,
i lavori di M. Cacciari, Geo-filosofia dell’Europa,
Adelphi, Milano 1994 e Id., Arcipelago,
Adelphi, Milano 1997 oltre a quelli di F. Cassano, Il
pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari 1996 e Id., Paeninsula.
L’Italia da ritrovare, Laterza, Roma-Bari 1998.
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