Caterina Resta
Ricordare l’origine. Riflessioni geofilosofiche*
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“DRP”, 4, 2002, pp. 11-18 |
1. La perdita del
Luogo
Nella sua celebre Erörterung
della poesia di Trakl, Heidegger si sofferma a ricordare come il significato
originario di Ort – la parola tedesca per dire ‘luogo’
– rinvii alla punta di una lancia:
«Tutte le parti della lancia convergono
nella punta. L’Ort riunisce attirando
verso di sé in quanto punto più alto ed estremo. Ciò
che riunisce trapassa e permea di sé tutto. L’Ort,
come quel che riunisce, trae a sé, custodisce ciò che a
sé ha tratto, non però al modo di uno scrigno, bensì
in maniera da penetrarlo nella sua propria luce, dandogli solo così
la possibilità di dispiegarsi nel suo vero essere» (1).
Il Luogo è quel punto di convergenza, di riunione
e di raccoglimento [Versammlung] in cui,
come nella punta acuminata di una lancia, in virtù di una irresistibile
attrazione, lo spazio si concentra. Centro(2)
di un’invisibile croce, ogni Luogo è perciò anche
al contempo umbilicus e Axis
mundi, punto di congiunzione tra cielo e terra, Geviert
(3), per usare un’espressione di Heidegger, che indica, nella
riunione della quadratura, il crocevia tra cielo e terra, divini e mortali,
dispiegando lo spazio entro il quale è possibile per l’uomo
abitare.
Il Luogo dunque custodisce e salvaguarda il soggiornare dell’uomo
sulla terra, non come uno scrigno che trattenga chiuso in sé il
suo prezioso contenuto, rendendolo in qualche modo inaccessibile, ma,
al contrario, illuminandolo e portandolo in quella luce nella quale soltanto
ciascuna cosa potrà dispiegare la propria essenza. È quell’Aperto
che ogni volta, in ogni dove, dischiude un mondo, rendendolo spazio abitabile
per l’uomo, nel reciproco corrispondersi di cielo e terra, umani
e divini, all’incrocio di quelle direzioni che nello spazio-tempo
si intersecano, generando Luoghi, venire al mondo di una terra-sotto-il-cielo,
sulla quale i mortali soggiornano con-finati entro un limite che è
proprio di ciascun ente, ma, al contempo, rivolti al cielo, al silenzioso
richiamo che proviene da Altrove.
Sono Luoghi le nostre città? Consentono davvero spazio e tempo
all’abitare? Gli edifici disordinatamente assemblati nello spazio
urbano sono ancora dimore capaci di custodire Geviert?
«Il luogo è un ricetto [Hut]
della Quadratura, o, come dice la stessa parola, un Huis,
un Haus, una dimora» (4).
Esistono ancora Luoghi, o non hanno ormai preso il sopravvento quei non-luoghi
di cui parla Marc Augé (5)
– aeroporti, grandi complessi alberghieri, centri commerciali e
ipermercati – icone eloquenti di una mondializzazione omologante
che azzera differenze e cancella la singolarità dei luoghi?
Vengono da lontano le ragioni di questa progressiva uniformazione. Nietzsche
è stato tra i primi a prevederla e a descriverla nel modo più
appropriato come un «deserto che cresce» e che non solo inaridisce
progressivamente la terra, riducendo a uniforme paesaggio desertico quelli
che erano terreni fertili e coltivati, ma anche non consente ogni crescita
futura. A questo processo che impedisce ogni possibile radicamento Nietzsche
diede il nome di “nichilismo europeo”, scorgendo in esso «il
più inquietante degli ospiti», quella “malattia mortale”
che, da lungo tempo in incubazione sul suolo europeo, si sarebbe propagata
per l’intero globo, identificandosi con quel movimento di occidentalizzazione
del mondo che è ormai divenuto realtà del nostro tempo.
Dopo di lui, la parola ‘nichilismo’ accomunerà le analisi
più acute dell’epoca presente, declinandone, seppure da punti
di vista diversi, i tratti essenziali: sarà per Jünger il
nichilismo dell’Operaio, servitore della tecnica, che, con la sua
uniforme, spianerà il mondo a propria immagine e somiglianza, tutto
riducendo a Lavoro, a regno della quantità e del calcolo, in un
poderoso processo di unificazione e uniformazione planetaria, nel quale
ogni differenza è destinata a sparire, facendo ovunque tabula
rasa nella sua inarrestabile marcia. Heidegger descriverà
invece il nichilismo come sradicamento e perdita di radici [Entwurzelung],
come Heimatlosigkeit, spaesamento, riconoscendovi
la Stimmung del nostro tempo e quella logica
interna a tutto il pensiero occidentale, che solo da ultimo – e
soprattutto a partire dall’Età moderna – giunge finalmente
in chiaro. Ma sicuramente si deve a Carl Schmitt l’analisi più
dettagliata del processo storico che ha condotto infine ad una inesorabile
Entortung, ad una de-localizzazione senza
precedenti, inaugurando quella globale Zeit
nella quale non solo tutto il globo terrestre appare perfettamente compreso
in uno sguardo complessivo, ma anche, da ultimo, refrattario ad un nomos
in grado di ordinarlo, come un’immensa distesa oceanica, superficie
liscia e indifferenziata, al pari di un deserto
(6).
La perdita del Luogo si compie dunque nell’orizzonte del nichilismo
come un processo che attiene alla logica interna della ratio occidentale
divenuta unico pensiero dominante sull’orbe
terracqueo: ogni tentativo di ri-localizzazione dovrà fare necessariamente
i conti con questa storia, con il destino stesso dell’Occidente
divenuto mondo, senza consolarsi in nostalgiche tentazioni regressive,
ma, piuttosto, procedendo oltre l’inevitabile
tramonto di ciò che è stato.
* Desidero ringraziare Nicola Aricò che mi ha in qualche modo costretta
per la prima volta a riflettere sulla mia città natale, amata-odiata
a tal punto da evitare sinora un serio confronto con quella che, per molte
ragioni, non ho mai potuto sentire come la mia Heimat.
Al suo Illimite Peloro. Interpretazioni del
confine terracqueo Montorsoli Del Duca Ponzello Juvarra D’Arrigo,
Mesogea, Messina 1999 le mie riflessioni devono l’essenziale. Ma
la mia gratitudine va soprattutto a chi da qualche tempo ha cominciato
a farmi sentire Messina come un possibile Luogo per il mio abitare sulla-terra-sotto-il
cielo.
1. M. Heidegger, Il linguaggio nella poesia.
Il luogo del poema di Georg Trakl, in In
cammino verso il linguaggio, tr. it. di A. Caracciolo e M. Caracciolo
Perotti, Mursia, Milano 1973.
2. Per il simbolismo del centro cfr. R. Guénon, Simboli
della scienza sacra, tr. it. di F. Zambon, Adelphi, Milano 1975
e M. Eliade, Immagini e simboli, tr.
it. di M. Giacometti, Jaca Book, Milano 1980.
3. Cfr. M. Heidegger, Costruire abitare pensare,
in Saggi e discorsi, tr. it. di G. Vattimo,
Mursia, Milano 1976.
4. M. Heidegger, Costruire abitare pensare,
in Saggi e discorsi, cit., p. 106.
5. Cfr. M. Augé, Nonluoghi. Introduzione
a una antropologia della surmodernità, tr. it. di D. Rolland,
Eleuthera, Milano 1983. Su questi temi cfr. in particolare L. Bonesio,
Terra, singolarità, paesaggi, in AA. VV., Orizzonti
della geofilosofia. Terra e luoghi nell’epoca della mondializzazione,
a cura di L. Bonesio, Arianna, Casalecchio (BO) 2000 e, più in
generale, Id., Geofilosofia del paesaggio,
Mimesis, Milano 1997.
6. Per un approfondimento di queste cruciali questioni mi permetto di
rinviare a C. Resta, Il luogo e le vie. Geografie
del pensiero in Martin Heidegger, Angeli, Milano 1996; Id., Stato
mondiale o Nomos della terra. Carl Schmitt tra universo e pluriverso,
Pellicani, Roma 1999; Id., Passaggi al bosco.
Ernst Jünger nell’era dei Titani, Mimesis, Milano 2000
(con L. Bonesio).
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