Home - Geofilosofia.it SITO ITALIANO
DI GEOFILOSOFIA

Luisa Bonesio

Il cuore della montagna


F. Marc, Gelbe Kuh, 1911
Pubblicato nel Calendario 2007 della Banca Popolare di Sondrio

 

Quando fu “inventato”, il paesaggio montano significava essenzialmente attrazione per le vette, nostalgia dell’alto, pulsione di esplorazione e conquista: una passione che, piuttosto significativamente, proveniva da chi le montagne le guardava da lontano, dalle città, come terreno di gioco per la decadente civiltà europea o come rigenerazione per la stanchezza irredimibile del vivere urbano. Progressivamente, nella trasformazione del turismo d’élite in industria delle vacanze di massa, altre porzioni del territorio montano sono state conquistate al godimento paesaggistico e tramutate in spazi di rigenerazione fisica e molteplici attività sportive. Così il turismo è diventato una delle più pervasive forme di urbanizzazione delle montagne, progressivamente risalite dagli stili urbani di insediamento e consumo, con trasformazioni e costi profondi per uno spazio di straordinaria e delicata complessità come quello alpino, che hanno anche modificato profondamente l’immagine comune delle terre alte. Il territorio si è trovato riconfigurato su due dimensioni prevalenti: quella del corridoio di scorrimento, commercio e servizi del fondovalle e quella della montagna turistica, i cui confini tendono ad espandersi vieppiù lungo le linee mutevoli del consumo progressivo del “territorio di gioco”. In questa proposta di se stessa, la montagna rischia spesso di barattare un’immagine calibrata sulla logica della domanda turistica, spesso di brevissima durata, con la propria più profonda e irrinunciabile identità territoriale, storica, simbolica mentre gli stessi abitanti corrono il rischio di identificare se stessi e le proprie scelte strategiche con l’aleatorietà di un’idea di montagna rimessa a logiche spesso effimere, ma talora non per questo meno devastanti quando tendono a sottovalutare gli intrinseci limiti d’uso (che sono poi le condizioni dello staordinario pregio dell’ambiente montano) dei luoghi.

La montagna non è tuttavia fatta solo di quelli che sono stati efficacemente chiamati “i nonluoghi alpestri”. La stessa possibilità di questi dipende da quella millenaria cultura montana che ha interpretato la difficile sfida del vivere in un ambiente tanto magnifico quanto severo, elaborando soluzioni di equilibrio tra le proprie esigenze e il mantenimento di quelle condizioni senza di cui la vita stessa sarebbe diventata precaria, pericolosa o impossibile, mediante una cura assidua, paziente, tenace e normalmente lungimirante che le ha consentito stabilità e perduranza fino a poche generazioni fa. I luoghi elettivi della cultura alpina sono, oltre agli insediamenti stabili, gli alpeggi: dimensioni intrinsecamente connesse, la cui ubicazione era scelta con perizia, sapienza ambientale e sensibilità paesaggistica. Questo è il vero cuore della cultura alpina, monumento diffuso e straordinario non solo di dedizione, lavoro, sapienza costruttiva e ambientale, ma soprattutto espressione e insieme garante di quell’opera comune d’identità che è il paesaggio, frutto della collaborazione incessante di uomo e natura, ma anche, ogni volta, di un’idea di bellezza che ogni comunità ha cercato di conferire ai propri luoghi.

Gli alpeggi, che hanno costituito per lungo tempo il luogo di vita stagionale e la forma più capillare di umanizzazione dell’impervio ambiente alpino, in epoca recente sono stati in parte abbandonati, o sopravvivono, sempre più faticosamente, in un mondo i cui orizzonti sono mutati rapidamente. Ne rimangono tuttavia esempi altissimi, che talora danno il volto a intere vallate, in paesaggi vivi di straordinario pregio ambientale e culturale. Non può sfuggire il nesso tra produzioni di qualità che ne provengono, esportando l’immagine di qualità di un territorio, e funzionalità attiva degli alpeggi; tantomeno deve essere sottovalutato il valore culturale intrinseco – identitario, storico, paesaggistico – che questi luoghi posseggono, insieme al paesaggio di vigna. Essi costituiscono probabilmente la più profonda e vera ricchezza della provincia, un patrimonio per il futuro che dovrebbe essere conservato e valorizzato mediante scelte strategiche analoghe a quelle messe in opera per il territorio vitato.

Monumento esemplare e vivo di una memoria partecipata, “eroico” perché perlopiù inappariscente, fatto di materiali arcaici, di segni minimali, di trame diffuse di ritualità, embricato di strade, sentieri, mulattiere, recinzioni, in cui quasi ogni dettaglio serba, discretamente, senza esibizione, ma con appropriatezza, com’è nello spirito delle popolazioni alpine, l’orgoglio dei luoghi, il senso dell’armonia e della bellezza. Della durezza di quella vita si sa ciò che serve per non cadere in facili idealizzazioni. Dalla sapienza che si esprime nella calibratura dell’intesa con lo spirito dei luoghi e dalla duratività dell’equilibrio mantenuto per secoli, invece, il nostro tempo disorientato e frettoloso, chiamato a rispondere a sfide radicali, ha molto da apprendere: non da ultimo, affinché le genti di montagna diventino consapevoli e orgogliose di quella straordinaria identità culturale che ha caratterizzato il continente alpino e la cui sapienza, salvaguardata e valorizzata, potrà rafforzare un’identità paesaggistica irripetibile, unico vero patrimonio per gli abitanti e inesauribile giacimento di un’offerta turistica compatibile e qualificata.

Montagna