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Luisa Bonesio

L’ultimo guerriero e i combattimenti della tecnica


Prefazione a E. Jünger, Nelle tempeste d’acciaio, tr. it. di G. Zampaglione, La Biblioteca di “Libero”, Milano 2003.


U. Boccioni, Quelli che se ne vanno, 1911

Di un secolo sgraziato e deturpato dagli effetti congiunti di economia e tecnica, di un tempo che si è fatto vanto della rinuncia alla verità e all’armonia in nome di un’ideologia devastante del “progresso” e di un’invasiva volgarità del gusto, Ernst Jünger, scomparso nel 1998 a 103 anni, è stato la più radicale confutazione, nel pensiero e nella vita. Fedele a un’idea di misura, di aristocratica semplicità e di onore impensabili nell’epoca dei trasformismi e della corruzione morale, egli ha attraversato il Novecento diagnosticandone le profonde infermità e le residue possibilità di cambiamento, sismografo sensibilissimo, nella sua opera di pensiero, dei sussulti e degli annunci catastrofici che, al di sotto della facciata rutilante di un mondo ridotto a pura simulacralità, si fanno più intensi in prossimità di quel “muro del tempo” cui ha dedicato uno dei suoi scritti più importanti. L’elevazione del suo pensiero - con il quale sono entrati in dialogo alcuni dei grandi filosofi contemporanei, da Martin Heidegger a Carl Schmitt - e la vastità della sua produzione saggistica e letteraria ne fanno una delle massime figure del Novecento, la cui conoscenza rimane imprescindibile per chi voglia comprendere la logica della modernità tecnica. Oggi anche in Italia sono disponibili pressoché tutte le sue opere principali, da Nelle tempeste d’acciaio a L’operaio, Il cuore avventuroso, Sulle scogliere di marmo, Foglie e pietre, Irradiazioni, La pace, Il trattato del ribelle, Il contemplatore solitario, La forbice, Cacce sottili, Al muro del tempo, Lo stato mondiale e i romanzi Eumeswil ed Heliopolis, oltre ad altri scritti di narrativa. Da pochissimo sono stati anche tradotti gli scritti politici e di guerra degli anni attorno al primo conflitto mondiale, mentre la vasta opera diaristica, proseguita dall’autore fino agli ultimi anni di vita, continua a rimanere inaccessibile al lettore italiano.

Un pervicace e pregiudiziale silenzio – salvo pochissime eccezioni – è stato a lungo mantenuto su Jünger, dagli studiosi e dai mezzi d’informazione, osteggiando una conoscenza diretta del pensiero e della vita di Jünger, figura sfuggente a quel facile incasellamento di parte con il quale nel nostro paese si distribuiscono le patenti di libera circolazione intellettuale, e solo da circa un decennio l’autore è stato sempre più conosciuto da ampie schiere di lettori e dagli studiosi. Così, fino all’ultimo, l’“informazione” ha parlato di Jünger come di un precursore del nazismo, magari poi pentitosi, e in nome di questa palese falsità, documentata ampiamente e continuamente confutata dai pochi studiosi che hanno una diretta conoscenza delle sue opere, sui suoi libri e sulla sua vita esemplare è stato gettato un velo di sospetto e odiosità. Non molto diversamente, purtroppo, è accaduto in Germania, in nome dello stesso conformismo ideologico. Eppure l’eroe pluridecorato della prima guerra mondiale non solo aveva salutato l’avvento del nazionalsocialismo come una “vittoria della plebaglia”, non solo ha pagato con la morte del figlio diciottenne Ernstel la sua partecipazione alla cospirazione di Stauffenberg contro Hitler, ma con la riservatezza e il profondo tratto di sapienza dell’intera sua vita dovrebbe costituire un esempio forte, “classico”, di come vada inteso il compito cui ciascuno, secondo la sua misura, è chiamato. Probabilmente è proprio questa fedeltà all’idea della forma, della compiutezza, della nobiltà interiore che senza fuggire debolmente dalle contraddizioni del mondo, nondimeno si prende la sua distanza di libertà, a risultare più ostica a tempi di conformismo, di omologazione, ma anche di scompostezze e volgarità. Il contemplatore solitario che concentra la sua attenzione sul mondo discosto di insetti e fiori, è lo stesso “anarca” che trova nel bosco la sua via alla verità, il “ribelle” che riesce a vedere la logica nascosta di un mondo che si vorrebbe appiattito a pura merce o a divagante spettacolo, ma che in realtà è il dominio dei nuovi signori – che Jünger chiama i “Titani” – della tecnica.

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Metropolis